Culle vuote e soglie mancate. Il Punto Nascite dell’Ospedale San Biagio di Domodossola si avvicina, per l'ennesima volta, pericolosamente alla chiusura. Secondo quanto riportato da Lo Spiffero, la struttura ha registrato soltanto 77 parti nell'ultimo anno, un numero ben lontano dai 500 annui stabiliti come soglia minima dal decreto ministeriale n.70, parametro considerato essenziale per garantire la sicurezza delle mamme e dei neonati.
Domodossola figura così tra i primi candidati all’interruzione del servizio, insieme agli ospedali di Borgosesia e Casale Monferrato, anch’essi sotto i livelli minimi. Un provvedimento che potrebbe diventare operativo già prima dell’estate, quando la Regione Piemonte sarà chiamata a rispettare i requisiti dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) per non perdere milioni in fondi premiali statali.
La situazione a Domodossola non è nuova. Già diverse volte è stato al centro della battaglia tra territorio e Regione (con alla guida dsia il centro destra sia il centro sinistra). L'ultima volta nel 2021, la possibile chiusura del reparto maternità scatenò una forte reazione politica. In prima linea il sindaco Lucio Pizzi e Alberto Preioni, allora capogruppo della Lega in Consiglio Regionale, oggi sottosegretario, che si oppose con fermezza alla decisione, dopo le sollecitazioni e le prese di posizione del primo cittadino domese, ottenendo il ripristino temporaneo del servizio.
Il problema non è solo politico, ma anche tecnico e sanitario. Continuare a tenere aperti punti nascita con pochi parti annui non solo espone a rischi medico-legali, ma compromette anche le performance del sistema sanitario regionale, valutate tramite il Programma Nazionale Esiti del Ministero della Salute e di Agenas. Un evento grave, avvenuto in una struttura sotto soglia, avrebbe ripercussioni anche su chi ne ha autorizzato l’attività.
Il caso Domodossola si inserisce così in un contesto più ampio e delicato: quello della razionalizzazione dei servizi sanitari in zone periferiche o montane, dove la popolazione è sempre più anziana e le nascite calano. Il rischio concreto è che interi territori si vedano privati di un servizio essenziale, con tutte le difficoltà logistiche che ne derivano, soprattutto in situazioni di emergenza.
Eppure, le resistenze non mancano. La chiusura del punto nascita viene vissuta come un segnale di abbandono da parte delle istituzioni, oltre che come un possibile danno politico in un anno elettorale. Le comunità locali si mobilitano, le amministrazioni chiedono deroghe appellandosi a motivazioni di “baricentricità” o di accesso difficile a strutture alternative, ma la legge parla chiaro: sotto i 500 parti annui, il servizio deve essere chiuso, salvo rare eccezioni.
Il tempo stringe, e con la bozza del nuovo piano sociosanitario piemontese pronta ad approdare in Consiglio Regionale, le decisioni non sono più rinviabili. Il San Biagio di Domodossola rischia seriamente di perdere uno dei suoi reparti simbolo, aprendo un nuovo fronte tra esigenze sanitarie, diritti dei cittadini e pressioni politiche.