In montagna il rischio zero non esiste, ce lo ricordano sempre i soccorritori. Un monito che giunge, ancora più dirompente, quando ci si trova davanti ad una tragedia. Titoli sensazionali ci hanno poi (male) abituato a pensare alla montagna matrigna, quando viene definita “assassina”. Ma le cose non stanno proprio così e a riportare, come si suole dire “la barra al centro”, ci vengono incontro le riflessioni di chi la montagna la conosce e la frequenta da sempre. È il caso dell’ossolano Felice Darioli: una vita trascorsa nel soccorso alpino (anche con ruoli apicali) ossolano e piemontese.
"A mio modo di vedere anche la parola “esperti” viene abusata un po’ troppo – spiega Darioli, bognanchese, oggi 78enne -. Mi riferisco in particolare a quando ci si riferisce ai cercatori di funghi, dopo un grave incidente dall’esito tragico e che vengono appunto ricordati come “esperti”. Senza guardare i singoli casi ma, per un discorso generale, purtroppo non sempre chi va nei boschi sa che fuori dai sentieri si nascondono altri pericoli”.
Insomma, la cosiddetta esperienza, infatti, è qualcosa che va ben oltre il numero di ore e di giornate che si passano in montagna ma è un processo lento, un qualcosa che si acquisisce col tempo, facendo anche tesoro dei fallimenti e attingendo, giorno dopo giorno, escursione dopo escursione, dal proprio vissuto, in montagna.