Provincia - 06 gennaio 2023, 12:00

Più pensionati che occupati nel Vco

È quanto emerge dai dati dell’Ufficio studi della Cgia, la nostra Provincia presenta un saldo negativo di mille unità

Più pensionati che occupati nel Vco

È di mille unità il saldo negativo tra pensionati e occupati nel Vco. Nella nostra provincia sono infatti 64 mila i percettori di trattamenti pensionistici e 63 mila le retribuzioni da lavoro. È quanto emerge dai dati dell’Ufficio studi della Cgia ripresi dalla redazione del quotidiano economico online EnordOvest.

Anche se di sole 205 mila unità, a livello nazionale il numero delle pensioni erogate agli italiani (pari a 22,759 milioni di assegni) ha superato la platea costituita dai lavoratori autonomi e dai dipendenti occupati nelle fabbriche, negli uffici e nei negozi (22,554 milioni addetti). I dati sono riferiti al 1° gennaio 2022.

La situazione più “squilibrata” si verifica nel Mezzogiorno. Se nel Centro-Nord - con le eccezioni di Liguria, Umbria e Marche - i lavoratori attivi, anche se di poco, sono più numerosi delle pensioni erogate dall’Inps e dagli altri istituti previdenziali, nel Sud il sorpasso è già avvenuto; queste ultime, infatti, superano i primi di 1,244 milioni.

Nel Centro-Nord, invece, solo Marche (- 36 mila), Umbria (- 47 mila) e Liguria (-71 mila) presentano una situazione di criticità. In particolare, la Liguria conta 665 mila pensioni erogate a fronte di 595 mila occupati.

Per contro, tutte le altre sono di segno opposto: le situazioni più “virtuose” – vale a dire dove i lavoratori attivi sono nettamente superiori alle pensioni erogate - si scorgono in Emilia-Romagna (+191 mila), Veneto (+291 mila) e Lombardia (+658 mila).

Il Piemonte presenta un saldo positivo di 32 mila (1,767 milioni di occupati a fronte di 1,736 milioni di pensioni erogate) e la Valle d'Aosta di 3 mila (53 mila occupati e 50 mila pensioni erogate).

A livello provinciale, infine, le situazioni più compromesse che si registrano al Nord riguardano Biella (-14 mila), Savona (-12 mila) e Genova (-38 mila). Tra le province più virtuose, invece, si trovano Bergamo (+83 mila), Brescia (+111 mila) e Milano (+299 mila).

Ecco, comunque, i dati di tutte le province del Nord Ovest: Torino +30 mila (869 mila pensioni e 899 mila occupati), Asti + mille (88 mila e 89 mila), Biella -14 mila (83 mila e 69 mila), Cuneo +29 mila (232 mila e 261 mila), Novara +9mila (141 mila e 150 mila), Verbania -mille (64 mila e 63 mila), Vercelli -11 mila (76 mila e 65 mila), Aosta +3 mila (50 mila e 53 mila), Genova -38 mila (365 mila e 327 mila), Imperia -8 mila (86 mila e 78 mila), La Spezia -7 mila (94 mila e 87 mila), Savona -18 mila (120 mila 104 mila).

A fornire questi dati è l’Ufficio studi della Cgia, secondo il quale, comunque, in linea di massima, le ragioni di questo divario tra lavoratori e numero di pensioni vanno ricercate nella forte denatalità che, da almeno 30 anni, sta caratterizzando il nostro Paese. Il calo demografico, infatti, ha concorso a ridurre la popolazione in età lavorativa e ad aumentare l’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva (tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana nella fascia di età più produttiva è diminuita di oltre 1,360 milioni).

Per quanto concerne il risultato “anomalo” del Sud, va segnalato che, rispetto alle altre ripartizioni geografiche d’Italia, il numero degli occupati è sensibilmente inferiore. Va infine evidenziato che il risultato di questa analisi è sicuramente sottodimensionato; ricordiamo, infatti, che in Italia ci sono poco più di 1,7 milioni di occupati che dopo essere andati in pensione continuano, su base volontaria, a esercitare ancora l’attività lavorativa in piena regola.

Un Paese che registra una popolazione sempre più anziana potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici; in particolar modo, a causa dell’aumento della spesa pensionistica, di quella farmaceutica e di quella legata alle attività di cura/assistenza alla persona. Con una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione più giovane, una società costituita prevalentemente da anziani rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo (HoReCa).

Per contro, invece, le banche potrebbero contare su alcuni effetti positivi; con una maggiore predisposizione al risparmio, le persone più anziane dovrebbero aumentare la dimensione economica dei propri depositi, facendo così “felici” molti istituti di credito.

Il progressivo invecchiamento della popolazione italiana sta provocando anche un altro grosso problema. Da tempo, ormai, gli imprenditori - non solo al Nord - denunciano la difficoltà di trovare sul mercato del lavoro personale altamente qualificato e/o figure professionali di basso livello.

Se per i primi le difficoltà di reperimento sono strutturali a causa del disallineamento che in alcune aree del Paese si è creato tra la scuola e il mondo del lavoro, per le seconde, invece, sono posti di lavoro che spesso i nostri giovani, peraltro sempre meno numerosi, rifiutano di occupare e solo in parte vengono “coperti” dagli stranieri. Una situazione che, con la congiuntura economica negativa alle porte, potrebbe essere destinata a rientrare, sebbene in prospettiva futura la difficoltà di incrociare la domanda e l’offerta di lavoro rimarrà una questione non facile da risolvere.

A livello territoriale, tutte le regioni del Mezzogiorno presentano un numero di occupati inferiore al numero degli assegni pensionistici erogati. In termini assoluti le situazioni più “squilibrate” si verificano in Campania (saldo pari a -226 mila), Calabria (-234 mila), Puglia (- 276 mila) e Sicilia (-340 mila).




Redazione EnordOvest

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