Oltre 200 studenti tra Enaip (coordinatori dell'iniziativa) e liceo al Teatro del collegio Rosmini a Domodossola hanno ascoltato la storia di Daniel Zaccaro.
Nato nel 1992 a Milano, precisamente a Quarto Oggiaro, nelle periferie della città, Daniel ha vissuto in una famiglia segnata dalla tensione, dalla scarsità economica e dai conflitti incessanti. Cresciuto tra i cortili delle case popolari, ha coltivato la passione per il calcio fin da giovane, emergendo come il talento più promettente, tanto da indossare la maglia dell'Inter già a dieci anni. Le aspettative sulle sue spalle erano elevate, e lui si sentiva determinato a non deludere nessuno.
Tuttavia, il destino ha preso una piega diversa quando, durante una partita, Daniel ha fallito il gol decisivo, mettendo fine ai suoi sogni di diventare un calciatore di successo. Questo evento ha segnato l'inizio di una fase difficile: alle scuole medie, Daniel è diventato un bullo temuto da tutti, dominato dalla rabbia e dall'aggressività. Convinto che l'unico modo per ottenere rispetto fosse intimidire gli altri, ha finito per compiere azioni criminali, inclusi furti a mano armata, che lo hanno portato nel carcere minorile Beccaria.
Considerato dalla società un caso perduto, Daniel ha trovato la svolta quando ha incontrato don Claudio, il cappellano del carcere, che lo ha introdotto nella sua comunità. Qui, tra ragazzi con storie simili alla sua, ha imparato a guardare il mondo da una prospettiva diversa e a intraprendere un percorso di riscatto personale.
Oggi, Daniel è laureato in scienze dell'educazione presso l'Università Cattolica di Milano. Ha lavorato nel settore dei servizi sociali per il Comune di Milano e attualmente svolge il ruolo di educatore presso l'associazione Kayrós. La sua storia è un esempio di resilienza e trasformazione, dimostrando che anche chi sembra essere "irrecuperabile" può trovare una via verso una vita migliore.
Daniel rompe subito il ghiaccio instaurando un dialogo con gli studenti. “Secondo voi con quali reati si può finire al carcere minorile?” Spaccio, rapina, violenza.... i ragazzi danno sfogo alle loro risposte. Inizia il suo racconto, prima il calcio poi le delusioni, il rapporto con il padre e poi la cattiva strada, quella dello “scavallo” come la definisce lui, le rapine. “Mi facevo la giustificazione per entrare alle 10 a scuola. Ma prima andavo in banca a rapinare e poi entravo nell'istituto”.
Era considerato un ragazzo perduto, irrecuperabile. A segnare la svolta, l’incontro con una professoressa di italiano che lo stimola a finire la maturità e poi don Claudio, il cappellano del carcere e l’affidamento alla sua comunità Kayros. Daniel studia, si iscrive all’università, impara il valore dell’educazione, del lavoro, dello studio, il rispetto per se stessi e per gli altri. Si è laureato in Scienze della Formazione all’Università Cattolica di Milano. "La brutalità è indice di povertà di pensiero – dice – È l’espressione di chi non sa comunicare in altro modo."
Appena ha potuto si è rimesso sui libri, si è diplomato e poi laureato. Adesso svolge una professione che lo appaga anche se “i giovani sono spesso portati a sbagliare perché vedono il futuro come una minaccia, non come una speranza”.
La sua tesi di laurea l’ha dedicata all’Odissea, in particolare al rapporto tra Telemaco e Ulisse. “Il 90% dei ragazzi che seguo in comunità ha avuto problemi con il padre – rimarca – e quando manca questa figura di riferimento si è portati a cercare altri modelli non proprio positivi per colmare il vuoto”. “In carcere ho letto tantissimo e- dice Daniel - “il consiglio che do a tutti voi è di farlo. La bellezza di perdersi nelle storie. In carcere non avevo alternative e quindi leggevo, oggi i ragazzi sono pieni di distrazioni”.
Gli studenti hanno avuto la possibilità di porre domande ed esprimere il proprio punto di vista riguardo gli argomenti trattati, dando vita ad un interessante dibattito al quale Zaccaro non si è sottratto. Un incontro dall’indubbio valore formativo.