Territorio - 13 agosto 2025, 09:45

Inaugurato a Colloro il museo Cà Vegia FOTO

Premosello Chiovenda: chiusa da 200 anni, è un perfetto esempio di casa contadina conservata quasi intatta nei secoli

All’inizio degli anni settanta la Cà Vegia era già diventata sede di Museo, grazie alla lungimiranza di tre fratelli colloresi: Aldo, Celeste e Giovanni Primatesta, con l’esposizione di attrezzi e utensili quotidiani; intorno all’anno 2000 quest’esposizione venne purtroppo chiusa e furono dispersi tutti i manufatti esposti. Successivamente la casa fu acquistata dal dott. Georg Westermeier di Monaco che la donò all’associazione Amici dell’Asilo di Colloro, con la precisa condizione di preservare questo prezioso immobile dall’oblio. Nel 2015 fu indetto dall’associazione un concorso di progettazione per il recupero della Cà Vegia: il concorso (ad inviti) vide la partecipazione di sei studi professionali e risultò vincitore il lavoro presentato dall’architetto Gianni Bretto di Torino. Nel 2017 l’Associazione decise di concedere in comodato d’uso al comune di Premosello- Chiovenda l’intero immobile, con la finalità di promuovere la realizzazione di un nuovo Museo. L’amministrazione comunale stanziò subito una piccola somma a cui si aggiunse un finanziamento più cospicuo da parte dell’Ente Parco Nazionale Val Grande, che ha avuto sempre a cuore il progetto. Per l’inaugurazione dell’edificio, altre all’ esposizione che diventerà permanente ospiterà per l’occasione le mostre di due eccezionali artisti: Christiaan Weldman e Avio Aleotti.

La Cà Vegia di Colloro è un perfetto esempio di casa contadina conservata quasi intatta nei secoli. La datazione precisa non è ancora nota ma mantiene l’assetto originario della casa rurale tardo medievale straordinariamente integra nella quasi totalità con i suoi caratteri originali ascrivibili ad un periodo tra l’inizio del Medioevo e la fine del ‘400. La grande stanza al piano terra, completamente annerita da secoli di fumo e con il soffitto a più di tre metri e mezzo di altezza, è l’elemento più sorprendente che rende questo edificio unico in ambito provinciale. Utilizzata sino all’anteguerra, era dedicata all’essiccazione delle castagne per ricavarne le “castagne bianche”, che si conservano a lungo e da cui si ricavava la farina, oppure per affumicare il ‘masaret’ (una tipica ricotta locale, realizzata stagionando un mix di ricotte vaccina e caprina, salate e pepate, per circa 15 giorni all’interno di un particolare contenitore detto BOZ; quest’ultimo è interamente realizzato in legno, generalmente in corteccia di Tiglio con il fondo ‘cucito’ tramite elastici ramoscelli di nocciolo, che conferisce al prodotto il suo tipico gusto. La stagionatura può avvienire in cantina, al fresco e protetto da un telo di canapa, e si ritiene completa quando si inizia a formare un leggero strato di muffa sulla parte superiore, ma può anche essere affumicata).

Il pavimento è in lastre di pietra e incavato in esso si trova il perimetro a cordolo del focolare. Soprastante ad esso e fissato al soffitto la “gràa”, graticcio di asticelle di legno dove venivano essiccate le castagne col calore prodotto dal sottostante focolare e dal fumo che invadeva la stanza e fuoriusciva da aperture sul muro meridionale. Sulla parete a meridione si trova anche il forno del pane costruito in pietra e rivestito in mattoni refrattari che si prolunga all’esterno dell’edificio con la sua forma semicircolare affiancato dallo stanzino dove si allevava il maiale.

La grande stanza al primo piano, grazie ad un intervento strutturale importante che laresa accessibile al pubblico, è stata invece adibita a sala espositiva per mostre divario genere con il proposito di aumentare l’offerta culturale nella frazione.Il museo rimarrà aperto dalle ore 10 alle 12 tutti i giorni fino al 17 agosto.Successivamente solo il sabato e domenica (stessi orari) ma con la possibilità diprenotare la visita anche in settimana telefonando telefonicamente.

comunicato stampa

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