Tutti contenti ed entusiasti – io per primo - dei risultati dell’edizione 2023 del Salone Internazionale del Libro di Torino. 215mila visitatori, crescita generalizzata delle vendite, folla agli stand delle case editrici, ressa agli incontri con scrittori e ospiti.
Ne ha tratto giovamento non soltanto l’ organizzazione della kermesse letteraria, ma l’insieme del sistema Torino e Piemonte. Hotel, ristoranti, bed and breakfast al completo. Quindi, tutti felici. E mi aggrego alla festa.
Però mi pongo anche una domanda: quei 215mila visitatori sanno che in tutte le città e i paesi del mondo ci sono librerie aperte tutto l’anno? Che quei volumi che hanno acquistato al Salone si possono trovare anche fra gli scaffali, freschi o polverosi, delle rivendite di libri o delle centinaia di biblioteche sparse sul territorio.
Le librerie sono invece luoghi spesso deserti. Per una che apre altre decine abbassano le serrande. Definitivamente. Molti, per le loro letture, preferiscono scegliere sulle piattaforme on-line; sono sempre in aumento quelli che usufruiscono di volumi digitali e di audiolibri. Mentre i librai fanno fatica a sopravvivere.
Per diversi giorni, passeggiando fra gli stand e osservando le code - anche sotto la pioggia battente - ho cercato una risposta al perché i visitatori preferissero pagare il prezzo del biglietto (senza peraltro uno sconto garantito sull’acquisto dei volumi) piuttosto che andare tranquillamente in libreria.
Quella risposta non l’ho trovata. Mi auguro, però, che l’andare al Salone non sia solo una moda passeggera, una caccia al selfie, all’autografo, all’incontro con il vip, che è cosa legittima, ma ben poca roba per salvare le sorti dell'editoria e risollevare il mercato dei libri.
La mia speranza è che almeno ciascuno di quei 215mila visitatori leggano quest’ anno almeno un libro in più. Uno per ciascuno.