Continua a crescere il numero dei frontalieri residenti nelle province italiane di confine. Nel terzo quadrimestre del 2020 hanno superato, sia pure di poco le 70 mila unità: 70.115. Dai dati diffusi dall’Ufficio statistica (Ustat), inoltre, emerge che i lavoratori stranieri, frontalieri e domiciliati, nel 2019, hanno superato la mano d’opera svizzera: 121.900 contro 112.000. Cambiano anche i settori d’impiego: cresce il numero dei frontalieri nel terziario (servizi come pulizie, ecc,) mentre diminuisce nell’industria e in agricoltura (in genere giardinieri impiegati nella manutenzione del verde).
Uno studio commissionato dall’Ustat, con i dati aggiornati al 2018, fornisce anche una chiave interpretativa del progressivo aumento dei frontalieri a svantaggio della mano d’opera svizzera. La paga media oraria, ad esempio. Convertita dall’euro al franco svizzero, nel 2016, variava da un minimo di 11,98 franchi nel Verbano Cusio Ossola ad un massimo di 13,32 in provincia di Lecco. A fronte, sempre nel 2016, dei 30,36 di paga media oraria in Ticino. Lo stipendio medio dei frontalieri è di 4.477, 1.500 franchi meno degli svizzeri. Non solo: 1.000 franchi in meno di chi ha il permesso C (domicilio), 600 da chi ha il permesso B (dimora). Gli stipendi medi dei frontalieri del 2018 erano addirittura inferiori, sia pure di soli 10 franchi, a quelli del 2008 mentre gli stipendi degli svizzeri sono aumentati del 10 per cento.
Il 40 per cento dei dipendenti delle aziende private ticinesi sono frontalieri, nei servizi sono il 65%. Anche se la maggior parte dei pendolari dalle province di confine è impiegata nei settori a più bassa qualifica professionale, crescono quelli con posizioni più elevate in organico aziendale: tra il 20 e il 30 per cento di quelli impiegati nel 2018 erano in possesso di un diploma di scuola media superiore o di laurea.