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Sanità | 12 febbraio 2022, 19:10

Pandemia, ma anche turni massacranti e burocrazia: i medici "sognano" la pensione

Da un'indagine di Cimo-Fesmed Piemonte emerge la quotidianità che, soprattutto da due anni a questa parte, sono costretti a sopportare i camici bianchi della nostra regione

Pandemia, ma anche turni massacranti e burocrazia: i medici "sognano" la pensione

I medici piemontesi non ne possono più. Turni massacranti, ma anche burocrazia che porta via tempo prezioso. E che vede nella pensione l'unica via d'uscita da una tenaglia che si stringe sempre di più. E che con la pandemia è diventata una sfida ancora più pesante da sostenere.

Burocrazia e turni massacranti: monte ferie raddoppiato

Lo dice un'indagine condotta da Cimo-Fesmed Piemonte, il sindacato dei medici della nostra regione. Quasi l’83% ha dichiarato di essere vittima della burocrazia: troppi atti amministrativi da compilare e gestire, questo a scapito dell’ascolto e del tempo da dedicare ai pazienti. Ma anche i turni sono massacranti: più del 53% dei medici che operano in strutture piemontesi arriva a coprire turni per un totale di 48 ore settimanali, in molti addirittura li superano, nonostante l’orario di lavoro, da contratto, sia di 38 ore. Record in negativo anche per i giorni di ferie non goduti: più del 48% è in credito considerando la forbice 51 e 100 giorni, la media nazionale si attesta al 22%.

Il peso del Covid

Sulla condizione dei medici piemontesi, inevitabilmente, pesa anche la pandemia che ormai da due anni è diventata la quotidianità. Quasi il 72% dei sanitari locali sta pagando in prima persona il forte stress psico-fisico accumulato dal 2020: un vero crash-test da Covid-19, con ricadute sul modo di lavorare e sul rapporto con le proprie famiglie. 

Non è la carriera che immaginavo

Dall'indagine emergono però anche le aspettative disilluse dei medici piemontesi: se ad inizio carriera il sanitario piemontese credeva fermamente nella professione, puntando ad avanzamenti di carriera e crescita retributiva, oggi il medico affermato che opera in ospedale ha raggiunto un livello di insoddisfazione tale che il desiderio di andare in pensione, per chi rientra nei parametri, aumenta notevolmente. Altri, e tra questi molti giovani, pensano di lasciare il “posto fisso pubblico” per intraprendere la libera professione o addirittura emigrare all’estero.

Resta il senso di "missione"

Ma un tratto comune, tra il dato nazionale e quello regionale, riguarda il senso di appartenenza alla professione: quasi il 75% dei medici che operano negli ospedali del Piemonte desidera continuare ad essere a fare il medico. "Questo è un dato confortante - dicono dal sindacato -, nonostante la precarietà di molte strutture, la carenza di personale, la retribuzione non in linea con i carichi di lavoro, il problema della sicurezza individuale, soprattutto nei pronto soccorso, il tutto amplificato da una pandemia che ha mostrato tutti i limiti del servizio sanitario, nazionale e locale".

"Il Piemonte è lo specchio del Paese"

Il Piemonte dal punto di vista sanitario è lo specchio del Paese – sostiene il segretario di Cimo Piemonte, Sebastiano Cavallici sono problemi irrisolti che oggi, anche a causa della pandemia, si sono ingigantiti, rendendo la nostra professione difficoltosa. Occorrono maggiori tutele, un riordino organizzativo che consenta a noi medici di diminuire il tempo perso a causa della burocrazia, dedicandoci ai pazienti, dall’urgenza, al decorso e al post decorso. Come evidenziato anche nel documento programmatico elaborato nei mesi scorsi dalla nostra delegazione regionale e condiviso in sede di commissione sanità e con tutte le forze politiche piemontesi, in tutte le strutture regionali servono interventi più o meno importanti di edilizia sanitaria e di riorganizzazione ospedaliera, con una rimodulazione ragionata e permanente dei reparti. Occorre tutelare tutti i sanitari, sia rispetto alla loro quotidiana attività, sia dal punto di vista contrattuale, riequilibrando il monte ore con le retribuzioni. In sostanza è necessario che le istituzioni regionali si facciano carico dei problemi e disegnino una nuova agenda sanitaria locale, focalizzata sul miglioramento dell’assistenza territoriale e su un’innovativa e competitiva riforma dell’organizzazione ospedaliera”.

Massimiliano Sciullo

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