A poche settimane dal cambio di guida tecnica è ancora presto per fare bilanci, ma appare evidente che con l’arrivo di Igor Tudor la Juventus abbia imboccato una direzione ben distinta dalla filosofia di Thiago Motta. Non si tratta soltanto di sfumature tattiche ma di una vera e propria svolta nella mentalità della squadra, nei principi e nelle modalità con cui i bianconeri interpretano le partite.
L’obiettivo dell’italo-brasiliano era quello di portare a Torino un’identità moderna, europea, basata sul dominio del gioco e sulla qualità del palleggio: evidentemente, visto anche l’esonero, qualcosa non ha funzionato. Da subentrante, Tudor ha restituito alla squadra un’identità più corsara e combattiva, riaccendendo le speranze di chiudere il campionato tra le prime quattro. Un’ipotesi ritenuta ancora estremamente alla portata, come ci rivelano le quote raccolte da sitiscommesse.com. Resta dunque da vedere quale delle due visioni si dimostrerà più sostenibile nel lungo periodo: ciò che è certo è che il cambio in panchina ha rappresentato un vero spartiacque sia tecnico che mentale.
La Juve di Motta: la ricerca di possesso e controllo
Portare un calcio più moderno, orientato al possesso, alla costruzione dal basso e al controllo della partita, in una netta contrapposizione con i dettami di Allegri: sono queste le ragioni per cui Giuntoli aveva scelto Thiago Motta. L’ex tecnico del Bologna rappresenta il nuovo che avanza: con Motta i bianconeri hanno lavorato per diventare una squadra che tenesse il pallone, che cercasse di governare il pallino del gioco e di gestire i tempi della partita.
Nella prima parte del campionato l’allenatore ha proposto come sistema di partenza un 4-2-3-1. Tra le peculiarità del modulo c’erano la compattezza tra i reparti e la fluidità delle rotazioni a centrocampo. La ricerca della qualità nel possesso tanto ambita da Motta, però, ha spesso finito per rallentare la manovra: la Juventus si è rivelata troppo lenta e prevedibile, faticando ad essere aggressiva, a pressare gli avversari e a ribaltare velocemente l’azione. Probabilmente le colpe non erano tutte dell’ex centrocampista della Nazionale, sia chiaro, ma le statistiche parlano da sé: troppi i 13 pareggi in campionato, troppo pochi i gol segnati complessivamente. Per non parlare della prematura eliminazione dalla Champions.
Il cambio d’identità della Juventus di Tudor: verticalità, duelli e aggressività
L’arrivo di Igor Tudor come traghettatore, insomma, ha segnato una rottura netta col recente passato. Da profondo conoscitore dell’ambiente, l’ex difensore bianconero ha portato una filosofia molto più concreta, improntata sull’intensità e sull’aggressività. La sua Juventus sembra meno focalizzata su un possesso sterile e più propensa alla verticalizzazione immediata, al pressing alto e ad intercettare in modo rapido l’azione avversaria. Un’impostazione più pragmatica, probabilmente finalizzata ad ottenere subito una reazione nella squadra.
Dal punto di vista tattico, il croato ha virato verso un sistema difensivo a tre, con marcature a uomo a tutto campo e un atteggiamento più spregiudicato. I centrocampisti hanno compiti più fisici che strategici, mentre esterni e attaccanti sono chiamati a movimenti continui. Anche negli interpreti qualcosa sembra cambiare. Giocatori come Yildiz e Vlahovic hanno riacquistato centralità nel progetto tecnico: il gioiellino turco ha anche segnato il gol vittoria contro il Genoa, dimostrando ancora una volta le sue doti tecniche. Per quanto riguarda Vlahovic, Tudor ne ha elogiato le qualità sottolineando che il numero 9 possiede tutte le caratteristiche di un top player: ora Dusan deve dimostrare di meritare la fiducia accordatagli.
In definitiva, se con Motta si cercava – con risultati altalenanti – il controllo e la precisione, Tudor ha scelto di puntare su impatto e dinamismo. La forza della nuova Juventus sembra vertere più sull’atteggiamento che sulla geometria: l’ex Lazio ha riportato una visione più “battagliera”, nel tentativo di dare una scossa ad una squadra che nella seconda parte dell’era Motta sembrava aver perso brillantezza e continuità. Questa analisi dimostra come, per i bianconeri, il cambio di guida tecnica non sia stato solo un avvicendamento d’emergenza ma l’inizio di un nuovo corso.
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