“Quella idrica, in virtù dello strutturarsi dei cambiamenti climatici, è una risorsa più difficile da trattenere sul territorio. I nostri 980 impianti idrogeologici diffusi in tutto il Paese fanno fatica a sollevare queste acque e riversarle in mare. L'Italia è il front-office dove si scontrano le aree calde africane con quelle fredde baltiche, fenomeno che comporta bombe d'acqua e precipitazioni irregolari”. Sono parole di Massimo Gargano, direttore generale di Anbi, l'associazione nazionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue, durante il faccia a faccia con Barbara Gatto, responsabile politiche ambientali della Cna che si è svolto nella sede dell'agenzia Dire. Per anni, prosegue il direttore generale dell'Anbi “abbiamo ragionato come soggetti che fornivano acqua a tre milioni e mezzo di ettari di pianura. Oggi tutto questo non è più possibile. Oggi noi forniamo acqua con le autobotti, l'abbiamo già fatto quest'anno in Piemonte e in Sicilia, perché manca l'acqua potabile”.
“Mettere in piedi un'attività ha dei costi enormi, vedersela riempita di fango, probabilmente significa aver buttato questi soldi all'aria. È necessario quindi iniziare a porre il problema ad altri soggetti e con loro tentare di sensibilizzare le istituzioni italiane ed europee. I Paesi che si affacciano sul Mediterraneo come Portogallo, Spagna, Francia e Italia subiscono maggiormente questi rischi e hanno maggiore necessità di attivare politiche di prevenzione. Questo confronto alla Dire è una bella giornata di sistema, con un soggetto che da nord a sud del paese si occupa della manutenzione ordinaria e straordinaria della infrastrutturazione, e l'altro che rappresenta un mondo produttivo importante. Da questo credo possano nascere dei momenti di convergenza soprattutto per creare una cultura della risorsa. Oggi rispetto all'acqua si concentra tutto sull'emergenza, noi dobbiamo operare in prevenzione, costa meno, si programma meglio e soprattutto non blocca l'economia”.
“Quello che emerge in questo momento è una consapevolezza diffusa sulla necessità di mettersi a riparo dai rischi idrogeologici connessi al cambiamento climatico. Ci sono settori più vulnerabili come l'agricoltura e il turismo. Tuttavia, abbiamo visto anche dal recente piano nazionale di adattamento climatico che una grossa fetta del nostro territorio è a rischio e dunque anche le imprese che insistono su quel territorio”, commenta Barbara Gatto, responsabile politiche ambientali della Cna. “Soprattutto dopo gli ultimi eventi in Emilia-Romagna, Toscana e Marche - prosegue la dirigente della Cna - il tema ha acquisito un'attenzione molto alta con percorsi di prevenzione specifici rispetto alle caratteristiche del territorio, ovviamente anche con un supporto della nostra Confederazione in termini di sensibilizzazione e di accompagnamento. Qualcosa si sta muovendo in più rispetto al passato, anche condividendo e mettendo a sistema le esperienze virtuose”.
“È anche vero – conclude - che non tutto può essere risolto dalle imprese. Quello della riqualificazione del territorio è un tema che richiede una forte governance, un'adeguata programmazione di cui deve farsi carico il pubblico. Da questo punto di vista una spinta ai singoli stati membri ad attrezzarsi più incisiva può essere utile per accelerare le politiche di mitigazione dei rischi”.