‘’Dove eravamo rimasti’’. Prendiamo spunto dal titolo di un film con Maryl Streep, film del 2015.
Eravamo rimasti alle lotte dell’Ossola per evitare la chiusura del punto nascita. Proteste, manifestazioni, lotte e polemiche politiche. Ora c’è chi torna alla carica. Lo riporta il sito di informazione ‘’Lo Spiffero’’.
Parte dalle dichiarazioni di Vito Trojano, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia, che da Roma torna alla carica: ‘’Chiudere quelle strutture dove annualmente si registrano meno di 500 nascite. I punti nascita a basso volume, ovvero sotto i mille parti non sono in grado di garantire la migliore esperienza clinica e l’organizzazione necessarie per prevenire ed eventualmente affrontare le imprevedibili situazioni di rischio non garantendo, così, una sicura assistenza per le pazienti”.
Il problema è che in Piemonte i punti nascita al di sotto del limite sono Verbania con 474 parti, Chieri con 430, Vercelli 392, Casale Monferrato con 279 e Domodossola dove l’ultimo rilevamento si fermava a 77.
“Per chi lavora nei piccoli ospedali – spiega il presidente della società scientifica – è impossibile formarsi e mantenere un’abilità medica e chirurgica, lavorando in strutture a basso volume”.
Gli fa eco Chiara Benedetto, docente di Ostetricia e Ginecologia all’Università di Torino che parla della “sicurezza della paziente e del bambino come priorità assoluta, rispetto a qualsiasi altra valutazione”.
Tutte considerazioni giuste, ma che non tengono conto delle realtà geografiche di zone come il Vco, dove per partorire o farsi curare c’è chi deve farsi 40-50 chilometri prima di trovare un ospedale.