Nel 2024 ricorre l’80° anniversario di quella che è universalmente nota come Repubblica dell’Ossola: per ricordare i “quaranta giorni di libertà”, il comune di Domodossola ha organizzato numerosi eventi e iniziative, che si svolgono in città e non solo. C’è però un dettaglio che ai più esperti non è sfuggito: come sottolinea lo storico Carlo Fedeli, la celeberrima Repubblica dell’Ossola non fu mai una vera Repubblica. Di seguito un breve testo dello stesso Fedeli, nel quale lo storico propone una chiarimento su quella che definisce “La Repubblica che non fu mai tale”.
“Il filo conduttore di queste giornate d’autunno è costituito dalle celebrazioni degli ottanta anni dai celebri “quaranta giorni di libertà”. L’eco di questo fondamentale evento si eleva dall’Ossola e raggiunge il resto d’Italia facendo riscoprire una stagione di eroismo, sacrificio e idee che additò, con mesi di anticipo, la virtuosa strada della democrazia ritrovata. Celebrare quindi la Zona Libera dell’Ossola, e sottolineo questa denominazione, non solo è doveroso ma anche necessario per ricordare a tutti che la libertà non è un bene scontato.
Registro tuttavia, con un certo stupore, quanto nelle orazioni pubbliche quella stagione di Resistenza venga, per uso e comodità, chiamata “Repubblica dell’Ossola”. Questa definizione si è così tanto consolidata nel sentire comune che spesso, anche fra gli addetti ai lavori, nessuno più la confuti o usi il virgolettato per citarla. Sarebbe invece opportuno operare le giuste distinzioni e chiarire, anche in base al diritto, quale fosse la posizione dell’Ossola liberata fra il settembre e l’ottobre 1944.
In uno dei nostri scambi di e-mail, il compianto amico Pier Antonio Ragozza commentò così un mio articolo su quelle vicende: “Mi ha fatto piacere il corretto riferimento giuridico-costituzionale della “Repubblica dell’Ossola”, intesa non come una sorta di territorio indipendente o quasi, come afferma qualcuno, ma quale zona libera in cui anche se solo per poche settimane tornò la sovranità del legittimo Stato italiano, argomento questo che avevo trattato anche nella mia tesi di laurea in diritto costituzionale, ma pure in successive pubblicazioni, conferenze e convegni, richiamando doverosamente la scoperta di Paolo Bologna, massimo studioso della Resistenza ossolana, del documento in cui il capitano Novek del 15° SS Polizei, in risposta ad una richiesta relativa alla sparizione di una macchina da scrivere nel municipio domese, si disse sdegnato della domanda fattagli perché nell’edificio aveva avuto sede il governo della “Repubblica” di bande partigiane: paradossalmente fu il primo ad usare questo termine, poi impiegato solo a partire dal dopoguerra, ma mai dai protagonisti di quest’esperienza di autogoverno, che avendo ideologie, valori e principi differenti, preferirono parlare di “zona libera” senza qualificazione alcuna.”
Va quindi chiarito che, nell’intento della giunta provvisoria di governo, presieduta dal professor Ettore Tibaldi, non vi fosse alcun proposito di istituire uno stato autonomo svincolato dal governo legittimamente costituito e con sede a Roma e, di conseguenza, dalla struttura statale del Regno d’Italia. Ciò è riscontrabile sin dai primi proclami della giunta e dallo stesso nome, reso ufficiale nei documenti dell’epoca, di “Zona Libera dell’Ossola”.
La necessità di autoregolamentazione che portò all’istituzione della giunta provvisoria di governo e alla sua azione legiferante fu dettata dalle contingenze di un territorio libero e isolato dal resto degli organi centrali di governo e dal desiderio di sperimentare una democrazia che, da oltre vent'anni, era stata annichilita.
“Repubblica”, e come tale costituzionalmente assolutamente illegittima, era quella sedicente “Sociale” e “Italiana” con capitale a Salò e che aveva Benito Mussolini come capo. Questa assonanza di definizione non sarebbe stata assolutamente praticabile da uomini e donne il cui unico scopo era quello di riportare il Paese ad un regime di libertà costituzionale che, prima delle "leggi fascistissime", era stato garantito dallo Statuto Albertino.
Non è inoltre pensabile che il tenente Alfredo Di Dio, comandante della Valtoce e ufficiale proveniente dai ranghi dell’Accademia Militare di Modena, combattesse per amore di una patria che non fosse quella di stampo romanticamente risorgimentale.
La stessa mostrina azzurra da lui scelta, corredata dalla stelletta militare istituita da Re Vittorio Emanuele II, evoca i colori “sabaudi” che, ancora oggi, caratterizzano gli attributi delle uniformi degli ufficiali delle forze armate. Quanti, come lui, provenivano dai ruoli dell'esercito scelsero di combattere, di ribellarsi alla “Repubblica fascista", stato canaglia, mantenendo fede al loro giuramento verso il re e verso quel tricolore, all’epoca corredato dello stemma di Savoia, che aveva avvolto i feretri dei tanti compagni d'arme mai più tornati.
Leggo inoltre che il presidente Anpi Gianfranco Pagliarulo ha dichiarato che “dell’esperienza della Repubblica dell’Ossola resta tutto. Ci fu una rottura col fascismo ma anche con la monarchia, che ebbe la colpa di non opporsi al fascismo”. È curioso rilevare, senza con ciò voler svincolare la monarchia dalle sue responsabilità storiche, come la medaglia d’oro al valor militare che ancora oggi campeggia orgogliosamente sul gonfalone della città di Domodossola venne conferita, di “motu proprio”, non dalla Repubblica italiana, legittimamente nata nel 1946, ma dal principe di Piemonte Umberto di Savoia nella sua funzione di luogotenente generale del regno.
La motivazione della più alta decorazione, conferita a tutta la Valle dell’Ossola, tratteggia proprio i fatti e le date di quel settembre-ottobre 1944 che, da ottanta anni, vengono impropriamente e semplicisticamente evocati come “Repubblica dell’Ossola”. Istituzionalmente e pubblicamente fu quindi per primo un Savoia, un futuro re, a riconoscere il valore, l’esempio e la portata di quella Zona Libera dell’Ossola che mai fu repubblica.
Chi celebra la storia, rendendo alla nazione un servizio encomiabile, ha tuttavia il dovere di farlo con la massima chiarezza e onestà intellettuale”.