“Ho letto con curiosità (e colpevole ritardo) un vostro articolo dei mesi scorsi sugli scrittori 'di provincia'. Innanzitutto vi rivolgo pubblicamente i miei più sinceri complimenti: è molto raro che sui giornali locali si parli di libri, un argomento che di solito non suscita trasporto e, immagino, 'non faccia vendere', per dirla col linguaggio di chi fa giornalismo, né attiri l'interesse degli inserzionisti. Appartengo anch’io alla tanto vituperata categoria degli scrittori: alle mie spalle ho qualche giallo edito nel nostro Paese, di discreto successo se posso aggiungere, ho preso parte più volte al Salone di Torino, compresa l’ultima edizione, per cui mi fa piacere mettere il dito nella marmellata e contribuire, se possibile, a far chiarezza in questo mare delle verità in cui ognuno si sente in diritto, a torto o a ragione, di dire la sua. Tutti sanno tutto di libri, specie nei talk show o sui social. Anche chi non ne ha scritti o mai se ne è occupato.
L'intervento che avete riportato di Romano De Marco, i cui romanzi di genere ho letto e apprezzato, è stato molto schietto e duro (anche nel linguaggio), ma assai ricco di verità. Io che sono ignorante, nell’oceano di dubbi partirei dalle poche certezze che abbiamo. La prima: in Italia, secondo le stime più recenti, vengono pubblicati in media 210 libri al giorno, l’80% dei quali vende meno di 100 copie. La seconda: sempre in Italia a leggere almeno un libro l’anno è circa il 40% della popolazione, se invece si considerano solo i cosiddetto lettori cosiddetti “forti” (almeno uno al mese) la percentuale scende drasticamente al 15%. La terza, logica conclusione: le statistiche ci mostrano che nel nostro Paese non si legge molto, ma la produzione libraria è invece molto abbondante, con il risultato che molti titoli rimangono praticamente invenduti.
Pensateci quando vi mettete alla tastiera (e quando inviate i vostri manoscritti). Considerate che il fatto di aver scritto un romanzo (o quello che è) non concede a voi il diritto di essere letti, né comporta per gli altri il dovere di leggervi. Se concordiamo su questo punto, allora il nocciolo del dibattito diventa la necessità di resistere alla tentazione di farsi pubblicare a tutti i costi. Il desiderio è apprezzabile, meno l’ego smisurato che porta il malcapitato a pagare cifre importanti a un improvvisato 'editore' scovato tra i mille e più che pascolano in rete. Il risultato, come ha ben sintetizzato De Marco, è quello di aver speso soldi, appagato l’io, forse la mamma e qualche amico, ma nulla di più. Quindi, direte voi? Come ti poni? Ancora una volta nel dubbio, le certezze le lascio agli opinionisti. Qui ho elencato solo fatti, ognuno ci ricami su come crede. Chi ne sa più di me, però, si dichiara contrario a chi chiede denaro per stampare libri di cui non gliene frega nulla: meglio, così sostiene, avere la forza di saper accettare i rifiuti, quelli delle case editrici vere che ti fanno siglare un contratto con tutti i crismi, e nel frattempo continuare a leggere e infine riprovarci”.