"Non possiamo accettare il declino del Piemonte". E' il grido di allarme che viene lanciato dal senatore piemontese Enrico Borghi, vicepresidente nazionale di Italia Viva, che nella sua consueta rubrica "Note Rocciose" che tiene sui settimanali della Stampa Diocesana Novarese ha lanciato un messaggio di apprensione sul futuro del territorio subalpino.
"Secondo i dati diffusi da Eurostat -scrive Borghi - il Piemonte è retrocesso nella classifica europea delle regioni sulla creazione di ricchezza, in base al Prodotto Interno Lordo.
Sulla base dei dati registrati tra il 2021 e il 2023, infatti, l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea ha certificato che il PIL di noi piemontesi è scivolato sotto la media comunitaria a parità di potere d’acquisto. Una comunicazione pesante, che fa della nostra regione l’ultima nel Nord dell’Italia, e unico territorio al di sopra dell’Appennino tosco-emiliano ad essere collocata dalla UE nella categoria delle cosiddette “regioni in transizione”. Infatti, le altre regioni italiane a possedere questa non invidiabile caratteristica sono Marche, Umbria e Abruzzo, mentre oltre confine gli stessi standard li registra il Rhone-Alpes francese.
Il sistema produttivo piemontese, insomma, si è infragilito. Ma non sono solo i dati economici a far suonare l’allarme, almeno per chi abbia orecchie da prestare alla situazione: dai risultati dei test Invalsi alla logistica, dal tasso di innovazione delle imprese agli investimenti in attività produttive ad alta sostenibilità ambientale, l’arretramento della regione subalpina emerge in tutta la sua evidenza. "
"Le statistiche in molti settori -prosegue nella sua riflessione il senatore riformista- vedono Torino e il Piemonte inseguire affannosamente i territori contigui. Non è solo il confronto con la “grande Milano” che drena manodopera e professionalità da molte aree di confine come il VCO, Novara e Alessandria. Ma anche il confronto con il Nord Este e con l’asse Bologna-Firenze finisce con l’essere impietoso.
Secondo il sociologo torinese Luca Davico, le politiche attuate in questi anni dalle amministrazioni pubbliche nella nostra regione “non hanno facilitato la connessione tra i diversi attori del territorio. Anzi l’impressione è che abbiano favorito il processo di isolamento”.
E' a questo punto che il parlamentare solleva una riflessione sulla politica regionale di questi anni, e sull'impiego dei fondi pubblici (soprattutto europei). " Si è puntato -scrive Borghi- a coltivare tanti piccoli orticelli, innaffiandoli con fiumi di spesa pubblica (dai fondi di coesione al PNRR) in una condizione che ha prodotto certo effetti sulla costruzione delle filiere politiche e del consenso , ma che evidentemente non hanno garantito una risposta in termini di crescita socio-economica del Piemonte.
Emerge un quadro di un Piemonte che, oltre alla tradizionale dicotomia tra la sua città capoluogo e il resto delle Province (con l’eccezione di Cuneo che sembra girare di luce e motore proprio grazie a comparti come agricoltura, agroindustria, enogastronomia e logistica) sembra essere fatto -per riprendere ancora l’immagine di Davico- di “molte isole e pochi ponti”, dove la fiducia interpersonale è bassa, se non tra gli appartenenti a ristrette cerchie nelle quali conta la relazione in sè molto più dell’intraprendenza e il merito."
La conclusione del vicepresidente nazionale di Italia Viva chiama in causa anche i vertici regionali, esprimendo preoccupazione e al tempo stesso l'esigenza di prendere atto della situazione per modicarla: "Il Presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio -osserva- con una battuta forse un pò infelice, ha commentato il dato sostenendo che in questo modo avremo più risorse dall’Europa sui fondi di coesione. E’ vero, ma se ci avviciniamo alle dinamiche delle regioni dove è la spesa pubblica a fare il differenziale, e non gli investimenti privati, ci infiliamo dentro una spirale che rischia di non avere più una uscita (visto anche il futuro di Stellantis che anche qui non viene visto solo da chi non vuol vedere).
Mentre infuriano guerre, emergono diseguaglianze e compaiono nuove sfide globali, questi dati ci costringono a riaprire gli occhi. Qualcuno su questi temi fa propaganda. Ma per gli altri resta una domanda: siamo pronti a farlo davvero?"













