“Quando la notizia c’è, va data…”. Adriano diceva spesso così. Ma noi questa notizia non l'avremmo mai voluta dare. È quella della sua morte avvenuta all’improvviso in ospedale.
Adriano Velli, classe 1945, lascia la moglie Lina e il figlio Alessandro. E lascia in noi colleghi un ricordo indelebile di tanti momenti di vita giornalistica passata insieme, di tanti anni di lavoro e anche di partecipazione sindacale.
Un ricordo di una persona che non ha mai trattato i colleghi come ‘rivali’, né come subalterni o gregari; persone con le quali non ha mai alzato la voce né ha guardato dall'alto al basso. È stato un esempio! Ha sempre considerato tutti al suo pari, che era quello di un giornalista preparato, corretto e ligio al suo credere: “Quando la notizia c’è, va data…”.
Ha segnato il mondo dell’informazione locale, lui, capace di fare aprire a Domodossola, negli anni Settanta, la sola redazione de La Stampa che non fosse situata in un capoluogo di provincia. Ma soprattutto capace di avere un ruolo nel giornale in cui lavorava a contatto col comitato di redazione, il 'consiglio interno' dei giornalisti chiamati a dialogare con direzione ed editore. Ma anche esponente della Subalpina, il sindacato in cui credeva e al quale ha dato un contributo. Prima di impegnarsi a Roma, all’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti.
Adriano ha segnato la vita giornalistica prima dell'alto Novarese e poi della nostra provincia diventando il punto di riferimento per molti di noi. Gli archivi lo confermano. Non si è mai rivolto ai colleghi, anche di altre testate, con quel distacco o con l’alterigia del “più bravo sono io”. È per questo che oltre al lavoro ci legava l’amicizia. La sua redazione era aperta anche se si lavorava per testate diverse e quindi con un po’ di antagonismo. A La Stampa ha poi fatto da balia a molti di noi, con quell’aria da fratello maggiore che però ti lasciava lavorare tranquillamente. Unico suo 'pallino' erano le dinamiche dell’economia e della finanza, un settore in cui avrebbe voluto e potuto scrivere senza mostrarsi inferiore a colleghi che la sanno più lunga.
Adriano ha scritto molto di questa terra: dalle alluvioni sino all’estradizione di Gelli, dalle lotte sulla sanità a quella - persa - per Domodossola capoluogo nel nascente Verbano Cusio Ossola. Ha scritto fiumi di righe sulla politica locale e sulle lotte sindacali degli anni Settanta e Ottanta.
È passato, come tutti noi di una certa età, da quel giornalismo in cui si dettavano i pezzi al telefono, a quello delle telescriventi e poi del computer. Di quando si spedivano, col treno, alle redazioni di Novara e Torino le foto stampate con il cosiddetto 'fuorisacco', a quello ultra veloce delle mail. Lo rivediamo con l’inseparabile Paolo Falciola, anche lui da tempo scomparso, che spesso è stato la sua ombra di vitale importanza nel ‘recuperare’ immagini e testimonianze fotografiche.
Adriano aveva iniziato la carriera all’Avanti, il giornale del Partito Socialista, e poi era passato a La Stampa. Avrebbe potuto anche andare alla redazione di Milano, ma ha preferito restare qui a ‘raccontare’ la sua terra. In pensione da tempo non aveva mai abbandonato i contatti con il suo mondo e soprattutto non ha mai disertato le urne alle elezioni degli organismi del sindacato, dell’Inpgi e della Casagit, la cassa autonoma di assistenza dei giornalisti.
Chi, come il sottoscritto, è stato suo collega nella vita dei giornali quotidiani e in quella sindacale, perde un punto di riferimento e soprattutto un amico sincero.