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Sanità | 21 giugno 2023, 12:00

In Piemonte l'esodo verso il privato: “Persi 331 medici, più della metà sono donne”

Chiara Rivetti, segretario Anaao Assomed: “Il Pnrr non basta e ha dei limiti: non si possono investire soldi sul personale. Il rischio? E’ che i cittadini si spostino sempre di più verso il privato”

In Piemonte l'esodo verso il privato: “Persi 331 medici, più della metà sono donne”

Fermare l’emorragia, prima che non si possa più tornare indietro. E’ una vera e propria diaspora quella dei medici in Piemonte che, a causa di stipendi bassi e soprattutto di condizioni di lavoro definite asfissianti scelgono di abbandonare il Servizio Sanitario Nazionale in favore del privato. 

Un trasferimento che impoverisce la sanità pubblica e che sposta sempre più pazienti (chi può permetterselo) a farsi curare in strutture private. A fare luce sulla situazione in Piemonte Chiara Rivetti, segretario generale Anaao Assomed.

- Quanti medici ha perso il Piemonte nell’ultimo anno?

Il dato più aggiornato che abbiamo è riferito al 2021, dove i medici che si sono licenziati volontariamente sono stati 331. Rappresentano il 4% dei medici attivi. Di questi appena il 10% è andato a lavorare sul territorio come medico di medicina generale o negli ambulatori, il resto si è invece spostato sul privato. Quello che preoccupa è che questo dato è aumentato del 27% rispetto a quello rilevato l’anno precedente. 

- La fuga è sempre più verso il privato: questione economica o anche di qualità del lavoro e prospettive di carriera?

Direi che entrambi i fattori influiscono. Ormai il privato è in grado di garantire una buona remunerazione, ma soprattutto una qualità della vita diversa. Migliore. Nei reparti ospedalieri del pubblico i medici sono obbligati a fare numerosi turni notturni e festivi (fino a sei notti e tre weekend al mese), cosa che invece non viene richiesta nell’attività ambulatoriale del privato. 

- Altri aspetti da rilevare?

Sì, la condizione delle donne. Oltre il 50% dei medici che ha lasciato è infatti donna: sono 179 in Piemonte, contro i 152 medici uomini. Direi che è un aspetto su cui riflettere.

- Siete stupiti dalla difficoltà di spendere i soldi del Pnrr? Quell’iniezione di fiducia potrebbe rappresentare un toccasana per il settore 

No, non siamo affatto stupiti. Purtroppo il Pnrr pone limiti che non coincidono con le esigenze della sanità: I soldi non si possono usare per il personale, questo è un limite oggettivo. Purtroppo però le criticità maggiori sono lì. E poi c’è la questione del limite temporale, in quanto i fondi vanno utilizzati entro il 2026. Non è affatto semplice. 

- Case di comunità, chi ci lavorerà al loro interno di questo passo?

Il problema è esattamente quello. Credo sia necessario resistere fino a che non entreranno nel servizio sanitario nazionale gli specialisti. Parliamo di un orizzonte temporale di 4/5 anni. Le borse sono effettivamente aumentate e questo è un bene. 

- Ma in attesa dei borsisti, chi potrebbe prestare servizio?

Penso agli infermieri di comunità. Si potrebbe inoltre pensare di incentivare i medici di famiglia a dentare nelle case di comunità, ma non è semplice. Il nodo del personale è la vera questione da affrontare. Rimane il nodo del personale.

- E allora quali sono le vostre richieste alla politica?

Noi alla Regione abbiamo chiesto principalmente due cose. In primis di trattenere chi c’è già, migliorando le condizioni di lavoro. Faccio qualche esempio: a noi medici, da anni, non vengono pagate le pratiche Inail che compiliamo. E poi ci sono ancora i soldi che continuano a chiedere le Asl via Pec a chi ha svolto attività da libero professionista, a causa della Legge Balduzzi: parliamo del 5% sulla prestazione, richiesti però anche dieci anni dopo l’erogazione della stessa. Ecco, tutto questo non aiuta. Chi ha già contatti, se viene trattato così poi va nel privato. 

- E poi?

In attesa di inserire gli specialisti, sarebbe opportuno fare ricorso agli specializzandi. Assumerli. 

- In maniera molto schietta: in servizio sanitario rischia di saltare in Piemonte?

No, il pericolo è un altro. Adesso il servizio sanitario si regge sulla professionalità e sullo spirito di abnegazione dei medici che sono rimasti. Chi lavorava in team composti da 5 professionisti ora lavora in mini equipe composte da 2 o 3 persone. Quindi non salterà nulla, ma ci sarà un progressivo logorio: per curarsi in tempi adeguati ci si rivolgerà sempre di più al privato. E questo è più grave. E ‘in atto un cambiamento culturale: se ci si abitua all’idea che il pubblico ti fa aspettare, questo è un pericolo per tutto il sistema perché è più difficile poi tornare indietro.

Andrea Parisotto

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