La scomparsa di don Luigi Tramonti ha destato profondo cordoglio, non solo in Ossola.
Poche ore fa anche il noto giornalista sportivo Marino Bartoletti ha voluto ricordare don Luigi. Bartoletti e don Luigi erano infatti cugini, come raccontato dallo stesso personaggio televisivo, noto per le conduzioni di trasmissioni sportive dedicate al calcio sia in Rai che in Mediaset. E proprio il calcio era una passione che li accomunava, come raccontato nel post di Bartoletti.
Questa è la piccola storia personale e familiare di un parroco di provincia che ci ha lasciato ieri. Può non interessare a nessuno, ma io ci tengo a scriverla. Per me e per chi gli ha voluto bene.
Se ne è andato Don Luigi Tramonti, parroco di Pallanzeno, un paesino di mille anime ora nella provincia di Verbano-Cusio-Ossola. Quella era stata la sua ultima casa del Signore dopo decenni spesi con tanto amore, tanta passione e tanta generosità in diverse località della sua meravigliosa Val d'Ossola.
Ne parlo perché era mio cugino: un prete innamorato della vita ed entusiasta della sua fede. Suo padre, cugino di mia madre, era emigrato al nord come tanti romagnoli alla ricerca di lavoro (in questo caso le opere legate al Traforo del Sempione). Purtroppo morì in un terribile incidente: Luigi riconverti, neanche adolescente, il suo immenso dolore in una fortissima vocazione: spesso ai confini del missionariato.
Praticamente lo adottò mia nonna materna (la sua seconda parente più prossima) accudendolo durante tutto il suo periodo di seminario a Forlì. Lo rammento - io bambino - assieme ai suoi compagni: come piccole icone felliniane sciamare sotto i portici con le coppole e le mantelline nere
Venne nominato sacerdote nel 1964, con inevitabile pullman di parenti romagnoli al seguito. Diventò forse il prete più amato della Val d'Ossola. Nel suo darsi, fra cose importantissime e cose minime (mai facendo classifiche fra le une e le altre), fu anche padre spirituale e confessore personale di quello che sarebbe diventato il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. A cui, in vita sua, non chiese mai un favore personale!
Era il parroco di Viganella quando, assieme al sindaco, fece in modo - grazie a uno specchio ustorio issato da un elicottero sulla montagna - che tornasse la luce nel vero senso della parola nella piazza del paese che era al buio per quattro mesi all'anno. Quella stessa luce si infiltrava anche nel portone della chiesa e finiva con illuminare l'altare.
Tornava a Forlì rigorosamente due volte all'anno: per la festa della protettrice della città, La Madonna del Fuoco e per la vendemmia (rigorosamente accompagnato da una piccola banda di suoi paesani che poi se ne tornavano a casa carichi di casse d'uva e di vino novello). Mi è sempre stato vicino nei giorni della gioia e del dolore.
Era uno juventino sfegatato (amicissimo di Boniperti). Da grande studioso delle Sacre Scritture sosteneva (in maniera effettivamente un po' audace) che persino San Paolo fosse della sua stessa fede sportiva perché aveva usato più volte la parola "Juventus" nelle sue lettere. Lo fece una volta pubblicamente anche a "Quelli che il calcio": il vescovo di Novara fu costretto a convocarlo per chiedergli "chiarimenti" (che preferisco... non immaginare)
Ultimamente la sua gioia sportiva più grande era quella far suonare le campane della chiesa (ovviamente con l'approvazione di tutti i concittadini parrocchiani) ogni volta che Max Blardone conseguiva un risultato importante sulla neve.
Con Don Luigi n'è andato un piccolo grande prete: combattivo e felice!