“Che senso ha, per noi la Resistenza?”. E questa la prima domanda fatta al professor Alessandro Barbero da una ragazza, al convegno “Il Rosso e il Blu i carabinieri nella Resistenza e nella liberazione d’italia”, che si è svolto questa mattina al teatro “Il Maggiore.
“Dovete dircelo voi – è stata la risposta – ogni generazione ha qualcosa contro cui resistere come hanno fatto ragazzi poco più grandi di voi, mettendo a rischio la loro vita". “La Resistenza – ha chiesto un ragazzo – non è stata anche una guerra tra italiani, in un certo senso una guerra civile?”. "Nel ’44-’45 – ha detto Barbero – tutti parlavano di guerra civile, poi la memoria s’è un po’ persa per ragioni anche politiche. Quando Claudio Pavone pubblicò, negli anni ’90, ‘Una guerra civile’ in tanti si stupirono. Ma fu proprio così. Ci fu chi entrò in una banda partigiana e chi si arruolò nelle milizie fasciste. La ragazza che frequentavo al liceo era figlia di un comandante partigiano, andavo spesso a casa sua, conoscevo la sua storia ma mi limitavo a salutarlo senza chiedere nulla. I miei due nonni erano fascisti, uno fu ammazzato dai partigiani, l’altro, a cui ero affezionatissimo, scoprii solo dopo ch’era morto, quando papà mi raccontò che si nascose in solaio con una pistola a portata di mano nel caso fossero arrivati a cercarlo”.
“Le azioni dei partigiani – questo il quesito di un terzo studente – non furono azioni anche terroristiche?”. "Immagino – ha replicato Barbero – tu ti riferisca a via Rasella di cui s’è parlato molto perché perpetrata contro una banda musicale di semi pensionati che cantavano canzoni tedesche quando in realtà avevano anche delle bombe a mano che esplosero quando scoppiò la bomba. Bene, l’azione fu approvata non solo dal partito comunista ma dall’intero Cln. Che i tedeschi avessero promesso di non fare rappresaglie se gli esecutori materiali si fossero consegnati è falso. Il manifesto che molti ricordavano d’aver visto con l’annuncio non è mai esistito. Quando ne fu chiesto conto al processo al maresciallo Kesserling al processo disse testualmente ‘Eh, sarebbe stata una bella idea’. La memoria umana crea le fantasie più incredibili, agli storici compete scandagliare il passato, ricostruirlo nel modo più completo affinchè se ne possa fare uso per il futuro. Il presente è sempre il prodotto del passato e determinerà il futuro. Sta a voi, adulti di domani, farne buon uso”. Queste sono solo alcune delle domande poste dagli studenti in un serrato botta e risposta durato un’ora.
Poi è toccato al tenente colonnello Raffaele Gesmundo, dell’Ufficio storico del comando generale dei Carabinieri raccontare il comportamento dell’Arma dopo l’armistizio: “I carabinieri, nella stragrande maggioranza, si comportarono secondo coscienza, solo una minima parte aderì al nuovo regime fascista, toccante la testimonianza di Alessandro D’Acquisto, fratello del vicebrigadiere Salvo: “In pochi s’accorsero che il 23 settembre 1943, quando Salvo fu fucilato, iniziava il nuovo regime fascista sotto il comando dei tedeschi”.
Al professor Pier Antonio Ragozza, dirigente scolastico del liceo Spezia di Domodossola, è toccato il compito di calare il contributo dei militari e dei carabinieri in particolare nella realtà dei Verbano Cusio Ossola: “Fu un ufficiale dei carabinieri, ad avvertire il professor Tibaldi, presidente della Giunta di governo della Repubblica dell’Ossola che i tedeschi lo stavano cercando consentendo di mettersi in salvo in Svizzera. Ed è stato un sottufficiale dei carabinieri arrivato a Verbania con la famiglia che, dopo l’8 settembre, anziché mettersi in salvo in Svizzera decise di rimanere tenendo i contatti coi partigiani. Quel carabiniere era un collaboratore di Alfredo Di Dio”.